martedì 22 agosto 2017

Il Grande Gatsby

La storia

Il giovane Nick Carraway, voce narrante del romanzo, si trasferisce a New York nell'estate del 1922. Affitta una casa nella prestigiosa e sognante Long Island, brulicante di nuovi ricchi freneticamente impegnati a festeggiarsi a vicenda. Un vicino colpisce Nick in modo particolare: si tratta del misterioso Jay Gatsby, che abita in una casa smisurata e vistosa, riempiendola ogni sabato sera di invitati alle sue stravaganti feste. Eppure vive in una disperata solitudine e in un amore insensato per la cugina di Nick, Daisy…Il mito americano si decompone pagina dopo pagina, mantenendo tutto lo sfavillio di facciata ma mostrando anche il ventre molle della sua fragilità.

L'autore

Francis Scott Fitzgerald (St. Paul Minnesota, 1896 - Hollywood, 1940), tra i più grandi scrittori del Novecento americano, raggiunse il primo successo letterario nel 1920 con Di qua dal Paradiso e, dopo la tiepida accoglienza riservata a Belli e dannati (1922), riconquistò pubblico e critica nel 1925 con Il grande Gatsby che gli aprì le porte di Hollywood come sceneggiatore. Dalla tragica esperienza della malattia mentale della moglie Zelda nacque il romanzo Tenera è la notte (1934). Stroncato da un attacco cardiaco, Fitzgerald lasciò incompiuto Gli ultimi fuochi. Feltrinelli ha pubblicato nei “Classici” Il grande Gatsby (2011) e Racconti (2013) e, nella collana digitale Zoom, Il curioso caso di Benjamin Button (2013) e Sogni d’inverno (2014).

Recensire Il Grande Gatsby non è cosa da poco. Lo si potrebbe definire un piccolo, un grande romanzo, nonché il capolavoro della letteratura americana e del suo autore. Sin dalle prime pagine le sue parole conquistano il lettore facendogli maturare il desiderio di scoprire sempre più chi è questo misterioso Gatsby. Pagina dopo pagina si assiste all'amore di Gatsby per l'angelica Daisy, un amore che, come la vita dell'uomo, è fragile, caduco. Un amore che deve fare attenzione alle insidie di quest'esistenza effimera, un'esistenza che, tuttavia, non ha ragion d'esistere senza l'amore stesso. Il Grande Gatsby non è solo una storia d'amore, è una riflessione sulle speranze che animano la nostra esistenza. È un saggio sull'età del jazz che precede il crollo della borsa di Wall Street, quando le convinzioni, e i vizi, degli americani subiscono un netto calo, portandoli a fare i conti con la realtà. Ma, al tempo stesso, è anche emblema dell'autore stesso, che si ritrova a fronteggiare la sua eterna fragilità.

La bellezza dell'influenza

Oz ha l'influenza. Qualche giorno fa la sua gola ha iniziato a pizzicare, il respiro a farsi corto. Poi sono arrivati i brividi di freddo, il naso chiuso, il mal di testa perenne. Rassegnato, si è infilato nel letto, a guardare il soffitto, cercando un rimedio per eliminare i malanni. E chiedendosi perché, a fine agosto, in piena estate, l'influenza abbia scelto lui. Così ha deciso di prendere una di quelle pastiglie che in due giorni fanno passare tutto, una di quelle pastiglie che permettono alla sonnolenza di invadere le tue membra e di farti chiudere gli occhi, senza speranza di restare sveglio. A mezzanotte Oz e la sua amata sciarpa Sten, si sono addormentati. E alle sei erano già svegli. Hanno fatto colazione, hanno piegato la biancheria appena raccolta, hanno rassettato la cucina e, mentre si dedicavano alle faccende domestiche, la televisione, rigorosamente a basso volume, mandava i cartoni animati. Di quelli degli anni '90, che seguono un filo narrativo, con l'immancabile voce della grandissima Cristina D'Avena. Le labbra di Oz, intorpidite dal continuo tossire, non hanno potuto non intonare quelle note, che lo hanno accompagnato per tutta l'infanzia e che, sicuramente, lo accompagneranno per sempre. Oz, alla fine, si è ritrovato a ringraziare l'influenza e quella miracolosa pastiglia. 

Intervista a Simone Tempia, l'osservatore di Vita Con Lloyd

Vita con Lloyd ha conquistato il pubblico in poco tempo, regalando alla nostra mente e al nostro cuore brevi dialoghi di magistrale bellezza. Dopo aver conosciuti i due protagonisti, cerchiamo di scoprire qualcosa in più sul suo autore, Simone Tempia.

-                     Simone, mi permetto di darti del tu perché dopo aver letto “Vita con Lloyd” ti sento come un amico. Vorrei iniziare dalla classica domanda che si pone ad uno scrittore: quando hai sentito la vocazione della scrittura?

A quattordici anni. Da allora ho sempre e solo voluto fare lo scrittore. E ho fatto in modo che la cosa funzionasse.

-                     Nel volume “Vita con Lloyd” affronti temi che attanagliano l’animo umano ogni giorno e lo fai con magistrale capacità. Immagino, e credo sia proprio così, che dietro le risposte di Lloyd ci sia una certa consapevolezza da parte tua riguardo, ad esempio, l’amore o il passare degli anni. Potremmo quindi definire Lloyd come la voce della nostra coscienza?

Direi più come la voce della coscienza altrui. Questo maggiordomo non parla dentro di noi, ma fuori da noi. Le sue parole sono quelle che spesso non riusciamo a pronunciare a noi stessi.

-                     I dialoghi che hai creato tra sir e Lloyd sono brevi, ma di forte impatto. Hai mai percepito il desiderio di includerli in un elaborato più lungo, come un romanzo?

Ne riparliamo il 28 settembre.

-                     Durante la lettura ho avuto diversi sussulti d’animo. Mi son ritrovato, spesso, ad alzare gli occhi al cielo, con la bocca spalancata, sospirando “Per la miseria, ha ragione! È proprio così!”. E, circa a metà libro, ho capito che questo volume non può far parte della narrativa o della saggistica, ma della filosofia. Senza peccare di vanità, ti piacerebbe essere definito filosofo?

La filosofia è una disciplina con millenni di storia alle sue spalle. I filosofi hanno una formazione specifica ed estremamente approfondita. Che io non ho. Se proprio devo essere definito in qualche modo, direi che sono più un buon osservatore. E nulla più.

-                     Lloyd si presenta come un amico fidato di sir, quello che a volte ci manca per dare voce concreta ai nostri pensieri, ai nostri dubbi. L’uomo risponde con eleganza e pacatezza d’animo, utilizzando spesso metafore semplici, ma di forte impatto, con cui risulta facile immaginarsi questi due uomini che conversano di fronte ad una tazza di tè o ad un ottimo pranzo, tanto da permettere alla nostra mente di essere invasa da un’impressione, proprio come quella dei grandi pittori ottocenteschi. Quando hai raccolto i dialoghi tra sir e Lloyd, era proprio questo il tuo obiettivo?

Mi piacerebbe risponderti che c’era un obiettivo. Perché gli obiettivi, quelli ampi, quelli chiari e puntuali, sono importanti nella vita. Anzi, se per caso te ne avanza qualcuno, me lo dai?

-                     Restando sempre in tema dell’impressione che i dialoghi tra sir e Lloyd suscitano, troveresti interessante l’idea di dare vita ad un’opera cinematografica di “Vita con Lloyd”?

Complesso e difficile. C’è un maggiordomo immaginario che non si vede mai. C’è un signorotto dalla fisionomia liquida. C’è una voce che tutti sanno qual è, ma che è sempre diversa. C’è una magione di fantasia. E poi c’è un autore sciocco che fa fatica ad adattare sé stesso, si pensi le sue opere.

-                     Tornando, adesso, alla scrittura, hai in corso altri progetti, magari con protagonisti nuovamente sir e Lloyd?

Ne riparliamo il 28 settembre (cit.).

-                     Quali sono i consigli che daresti ad uno scrittore in erba?

Scrivi. Tanto. Sempre. Abbi fame di pubblicare, ma di pubblicare nei luoghi giusti. Difficile è arrivare subito alle case editrici, meglio iniziare dalle riviste letterarie. Sono un buon “banco di prova” e, di sicuro, un esordiente che si presenta con alle spalle delle cose già valutate da altri in maniera positiva è più avvantaggiato. E infine un grande, unico, consiglio: scrivere non vuol dire solo pubblicare libri. (Ma anche rispondere a interviste)(sto scherzando)(forse).

-                     Qual è il segreto per trovare il nostro personale Lloyd?

Contare fino a 150. Sempre. E non avere paura di sentirsi stupidi ai propri occhi. Sempre.


domenica 20 agosto 2017

Intervista a Don Alemanno, il genio creatore di Jenus


Cinque anni fa circa fa Dio manda sulla Terra suo figlio, per la seconda volta. Jenus non atterra dolcemente, ma si sfracella al suolo, subendo gravi problemi alla memoria: come dice l'autore stesso, infatti, "ha tutte le risposte, ma non se le ricorda". Inizia così un viaggio che porterà Jenus e il suo fedele compagno Angius, l'Agnello di Dio, a scontrarsi con i grandi usurpatori della fede. 


Per conoscere questo personaggio, la sua storia, le sue battute irriverenti, basta leggere il fumetto. Ma non è così semplice conoscere il suo creatore. Per questo gli abbiamo fatto alcune domande.

-        Iniziamo da una classica domanda: chi è Don Alemanno?

Ti rispondo con un estratto dalla mia biografia ufficiale: "Don Alemanno nasce abbastanza anni fa, in un luogo esistente e da genitori. Le sue prime parole furono parlate e molti raccontano su di lui cose. Tra queste cose, una in particolare. Autore del fumetto Jenus, a coloro che gli chiedono da dove gli sia venuta l’idea, egli risponde. A volte invece, non risponde. Prima di fare il fumettista, faceva altri lavori e tra questi ce n’era uno che gli piaceva particolarmente, soprattutto la domenica ché non lo faceva. Molti si chiedono se abbia un giorno preferito della settimana. Il primo a farsi questa domanda fu lo zio. Lo zio di chi, non è dato saperlo. Don Alemanno morì la notte del 3, in circostanze misteriose. L’ultimo a vederlo fu l’assassino, al suo posto ora, una controfigura frequenta le fiere riproducendone alla perfezione la parlata e le movenze, tranne per un particolare di non poco conto. Tra le frasi celebri di Don Alemanno c’è quella che disse sul Papa".

-        Quando è nata la passione per la scrittura?

Non so bene come dirtelo senza sembrare uno stronzo, ma in realtà non c'è alcuna particolare passione alla base dell'esistenza di Jenus. Non ho iniziato a disegnarlo per “passione”, nel significato comune del termine. I fumetti e il disegno in generale sono sempre stati un riempitivo sporadico, un po' come gli scarabocchi che si fanno su un foglio trovato sul tavolo, mentre si parla al telefono. Ho letto pochissimi fumetti, ne conosco pochi tutt'ora e le uniche infarinature su come si faccia un fumetto o si scriva una sceneggiatura me le ha date Riccardo Secchi (figlio del noto Max Bunker), dopo che avevo già iniziato Jenus da circa due anni. Se credessi all'esistenza del caso, ti direi che Jenus è nato per puro caso.

-   Jenus è un’opera di ironia, sarcasmo e profonda verità, ma molti la considerano blasfema. Cosa rispondi a questi detrattori?

Rispondo che hanno ragione. Jenus tecnicamente è blasfemo, su questo non ci piove. Per essere blasfemi non è necessario bestemmiare, è sufficiente che venga dissacrato un simbolo sacro o un rappresentante delle gerarchie ecclesiastiche. Nonostante ciò, molti che si professano credenti dicono di seguire Jenus. Inizialmente pensavo che questo fosse parecchio contraddittorio, ma poi ho capito che è solo sintomo di una apprezzabile apertura mentale. Mi rendo conto che si tratta di un'espressione abusata, ma rende l'idea.

-    Per creare un progetto come Jenus, è indispensabile conoscere la Bibbia. Prima di cimentarti nella formulazione del fumetto, hai studiato esclusivamente il Testamento o hai attinto informazioni anche da altre fonti?

Sono anni che leggo molto sulla materia, quindi non mi sono limitato alle Sacre Scritture. Mi sono interessato a capire quali fossero le fonti storiche che confermano una serie di episodi biblici (vedi Giuseppe Flavio, ad esempio), ma soprattutto mi sono interessato agli errori di traduzione del testo masoretico (quello da cui traduciamo le Bibbie occidentali). A questo aggiungiamo che sono un fan sfegatato di Gesù, e capisci che non potevo non usarlo come personaggio principale del mio fumetto. Quest'ultima affermazione potrebbe sembrare una cazzata, ma è forse la cosa più vera che possa dire in quest'intervista.

-        Personale curiosità: perché proprio il tema religioso?

Ho sempre guardato con estrema curiosità al modo in cui l'essere umano gestisce la fede religiosa. Fondamentalmente consiste nel credere ciecamente a dogmi e precetti decisi a tavolino da sedicenti profeti, o nel migliore dei casi a traduzioni manipolate di testi antichi, scritti da uomini per gli uomini. Questi uomini asseriscono di essere detentori di verità rivelate, e i fedeli non mettono in dubbio la validità di queste affermazioni, sebbene in prima persona non abbiano avuto esperienze che le confermino. Ovviamente tutto questo ha delle eccezioni, ma nella stragrande maggioranza dei casi la situazione è questa. A questo aggiungo il fatto che il 99% di coloro che si professano cristiano-cattolici non sanno proprio nulla del loro libro di riferimento, perché non l'hanno nemmeno mai aperto.

-     Adesso sei autore di NaziVeganHeidi: quando hai sentito l’ispirazione di modificare il personaggio della dolce bimba che vive sui monti insieme al nonno?

Avevo già in mente una storia sui vegani, da un anno circa, perché da assiduo ascoltare del programma radiofonico “La Zanzara” di Giuseppe Cruciani ho sentito spessissimo parlare dell'argomento. Poi parlando con il mio editor venni a sapere, alla fine del 2016, che i diritti della storia di Heidi stavano per scadere, dal momento in cui stavano per trascorrere i 70 anni dalla morte della scrittrice del libro. Non ho fatto altro, quindi, che adattare la storia che avevo in mente al personaggio di Heidi, e il risultato è stata questa roba totalmente fuori di testa. Devo dire che i lettori mi hanno dato fiducia per la seconda volta: grazie anche all'eccellente lavoro grafico di Boban Pesov, il volume ha attirato così tanta curiosità sin dalla prima pubblicazione della cover su Facebook da divenire dopo pochi giorni un best seller su Amazon. E tutt'ora mantiene sempre ottime posizioni, in attesa dell'uscita del secondo e ultimo volume a Lucca Comics 2017.

-       Quali sono i consigli che daresti ad uno scrittore o fumettista in erba?

Innanzitutto fumatela, quell'erba. Poi apri una pagina Facebook e lotta come un drago per far conoscere alla gente ciò che fai. Se le tue idee son buone, sarà il pubblico a darti ragione. A questo nulla ti impedisce di associare uno studio della materia, tramite una scuola del fumetto o qualcosa di simile. Ma dire che sia una cosa “necessaria”, è una cazzata galattica. La tecnica ti permette di fare meglio, se ce l'hai. Ma puoi avere tutta la tecnica del mondo, che se non hai delle idee che piacciono nessuno ti cagherà comunque.

-       Come ti vedi fra dieci anni?

Verticale.




venerdì 18 agosto 2017

Perfetti sconosciuti

Entrambi ci annoiavamo, nelle nostre rispettive spoglie stanze. Come se già fossimo collegati da un qualche filo invisibile, ci mettemmo d'accordo e uscimmo. Il sole illuminava la piazza colma di gente che passeggiava spensierata. Era un pomeriggio d'aprile e quel pomeriggio aveva tutte le premesse per essere l'inizio di qualcosa. Bastò guardarci negli occhi per capire di poterci fidare reciprocamente. Bastò salutarci, presentarci, per aprirci. Così le ore volarono e non ci importava nulla dell'ora di cena, che arrivò per poi salutarci poco dopo. Non ci importava nulla del fresco che cominciava a penetrare nelle nostre ossa. Le parole scorrevano come un fiume in piena e quel fiume fu vivo per i giorni a seguire. Una delle sere successive, seduti sulla scalinata di una piccola chiesa, ascoltavamo una canzone "And a lust for life keeps us alive" diceva la voce da sirena della cantante. Per quattro minuti tra di noi regnò il silenzio. Forse ci stavamo dicendo tutto, forse niente. Poi ci guardammo e scoppiammo a ridere. Le nostre labbra iniziarono a muoversi e ci unimmo ai due artisti in un coro che suscitava l'attenzione dei passanti. 
Arrivò giugno e con lui i problemi. Ci allontanammo, radicalmente, per poi diventare perfetti sconosciuti. Non avevamo più certezze, solo dubbi. Non ci guardavamo più negli occhi. Non cantavamo più insieme. Tutto quello che era stato costruito in due mesi si dissolse e volò via. 
Ancora oggi provo mancanza di quella compagnia. Ma la mancanza, talvolta, lascia posto alla rabbia e, con essa, ad una quasi certezza, che forse perfetti sconosciuti lo eravamo sempre stati. 

Avrò cura di te

Da longanesi.it leggiamo che "Gioconda detta Giò ha trentacinque anni, una storia familiare complicata alle spalle, un’anima inquieta per vocazione o forse per necessità e un unico, grande amore: Leonardo. Che però l’ha abbandonata. Smarrita e disperata, si ritrova a vivere a casa dei suoi nonni, morti a distanza di pochi giorni e simbolo di un amore perfetto, capace di fare vincere la passione sul tempo che passa: proprio quello che non è riuscito al matrimonio di Giò. La notte di San Valentino, festa che lei ha sempre ignorato, Giò trova un biglietto che sua nonna aveva scritto all’angelo custode, per ringraziarlo. Con lo sconforto, ma anche il coraggio, di chi non ha niente da perdere, Giò ci prova: scrive anche lei al suo angelo. Che, incredibilmente, le risponde. E le fa una promessa: avrò cura di te. Poi rilancia. L’angelo non solo ha una fortissima personalità, ma ha un nome: Filèmone, ha una storia. Soprattutto ha la capacità di comprendere Giò come Giò non si è mai compresa. Di ascoltarla come non si è mai ascoltata. Nasce così uno scambio intenso, divertente, divertito, commovente, che coinvolge anche le persone che circondano Giò: il puntiglioso ex marito, la madre fricchettona, l’amica intrappolata in una relazione extraconiugale, una deflagrante guida turistica argentina, un ragazzino che vuole rinchiudersi in una comune... Uno scambio che indaga non solo le mancate ragioni di Giò: ma le mancate ragioni di ognuno di loro. Perché a ognuno di loro, grazie a Filèmone, voce dell’interiorità prima che dell’aldilà, sia possibile silenziare la testa e l’istinto. Per ascoltare il cuore. Anche e soprattutto quando è chiamato a rispondere a prove complicate, come quella a cui sarà messa davanti Giò proprio dal suo fedele Filèmone, in un finale sorprendente che sembrerà confondere tutto. Ma a tutto darà un senso".
Gli autori
Chiara Gamberale è nata nel 1977 a Roma, dove vive. Ha esordito nel 1999 con Una vita sottile. Ha scritto, fra gli altri, La zona cieca (2008, Premio Campiello Giuria dei Letterati), Le luci nelle case degli altri (2010), Per dieci minuti (2013), Avrò cura di te, a quattro mani con Massimo Gramellini (2014), Adesso (2016) e Qualcosa (2017). È autrice e conduttrice di programmi radiofonici e televisivi come Io, Chiara e l’Oscuro (Rai Radio2) e Quarto piano scala a destra (Rai Tre). Collabora con La Stampa, Vanity Fair, Io Donna e Donna Moderna.
Massimo Gramellini, dopo essere stato a lungo vicedirettore del quotidiano La Stampa, dal febbraio 2017 scrive sul Corriere della Sera, di cui è uno dei vicedirettori. Dopo aver condotto con Fabio Fazio la trasmissione Che fuori tempo che fa, dal 2016 conduce il programma di Raitre Le parole della settimana. Con Longanesi ha pubblicato i saggi Ci salveranno gli ingenui (2007), Cuori allo specchio (2008), La magia di un Buongiorno (2014) e i romanzi L’ultima riga delle favole (2010) e Fai bei sogni (2012), che ha venduto più di un milione di copie ed è stato tradotto in 22 Paesi.

Avrò cura di te è un dialogo tra Giò e il suo angelo custode, Filemone. Un dialogo che riflette e fa riflettere sulla vita, sui sentimenti, sui patiboli che ogni giorno viviamo. La scrittura della Gamberale si intreccia a quella di Gramellini per dare voce a due personaggi che sono l'emblema dell'essere umano e ad un registro narrativo senza precedenti. 

giovedì 17 agosto 2017

Vita con Lloyd: I miei giorni insieme a un maggiordomo immaginario

Da ibs.it leggiamo che "A volte tocca inventarsi un amico per avere dei buoni consigli. Ed è proprio quello che ha fatto Sir, dubbioso signorotto nato dalla fantasia di Simone Tempia, quando ha deciso di immaginarsi il suo Lloyd, un maggiordomo inesistente che sa sempre trovare una risposta ai suoi dilemmi quotidiani. Nata su Facebook nel 2014, la pagina di Vita con Lloyd si è rapidamente imposta all’attenzione dei lettori per l’elegante sintesi con cui affronta temi come l’amore, il passare del tempo, la paura e la ricerca della felicità. In queste pagine sono raccolti i dialoghi più celebri tra Sir e Lloyd e molti inediti. Il tutto con le ironiche illustrazioni di Tuono Pettinato, autore di punta del nuovo fumetto italiano".

L'autore

Simone Tempia nasce in un'industriosa provincia del nord ovest nel 1983. All'età di quattordici anni ha pensato che tutto quello che voleva fare nella vita era scrivere e da allora cerca di fare in modo che la cosa possa funzionare. Ha un'esistenza abbastanza interessante, due lunghi baffi scuri, scrive per "Vogue Italia" e vive in compagnia di un maggiordomo immaginario.

Vita con Lloyd è una raccolta di dialoghi tra Sir e il suo pacato ed elegante maggiordomo, Lloyd. Nasce dal desiderio dell'autore, Simone Tempia, di sentirsi meno solo, come si dice nella presentazione del volume: "A volte, quando si è a corto di buoni consigli, gli amici tocca inventarseli". Pagina dopo pagina assistiamo ad uno scambio di battute dal sapore filosofico tra i due protagonisti. Ciò che affascina non sono tanto gli argomenti trattati, come l'amore e la paura, che sono parte integrante della nostra esistenza, ma il modo in cui gli stessi sono curati. Per farvi un esempio:

<< Lloyd, fai attivare la betoniera >>
<< Si dà all'edilizia, sir? >>
<< Volevo cementare questa nuova amicizia... sai, per renderla più solida >>.

L'autore utilizza ricercate, ma al tempo stesso semplici, metafore per parlare di ciò che può attanagliare l'animo umano. Personalmente, ritengo che questo volume non sia da attribuire alla classica narrativa, ma bisognerebbe porlo accanto ai testi della più pura filosofia. Di recente mi sono imbattuto in una disciplina chiamata consulenza filosofica, un dialogo tra il consultante e un filosofo, per ricercare insieme diversi modi di pensare, di affrontare una determinata questione. Ebbene, credo che, prima di rivolgersi ad un filosofo, ad uno psicoterapeuta, le cui professioni sono meritevoli di grande rispetto, si potrebbe attingere a questo volume di 148 pagine, per ricercare la risposta a quella domanda che non ci fa dormire la notte. Perché talvolta la soluzione è dietro l'angolo: abbiamo solo bisogno di qualcosa, o di qualcuno, che ci faccia trovare il coraggio per smascherarla. 

Vi riporto il link al carinissimo sito, con citazioni e una sezione grazie alla quale è possibile parlare con Lloyd stesso: http://www.vitaconlloyd.com/

Man In An Orange Shirt

Man In An Orange Shirt è una miniserie della BBC, andata in onda quest'anno, che nasce dalla penna di Patrick Gale, scrittore di successo che debutta in televisione proprio con questa sceneggiatura. La storia si articola in due puntate da un'ora ciascuna e narra di Michael e Thomas, che, trovandosi a condividere la Seconda Guerra Mondiale, finiscono per innamorarsi, e di Adam e Steve, il primo nipote di Michael, che, nel presente, lotta tra il desiderio di trovare l'amore e la carnalità del sesso. 

La storia di Michael e Thomas è ambientata in una Londra reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, un'epoca in cui la società era basata su stereotipi e chiusura mentale, ragion per cui la loro relazione deve essere tenuta al segreto o, nella peggiore delle ipotesi, totalmente annullata. Michael è promesso in matrimonio a Flora, che attende con trepidazione il giorno delle nozze. Rimasta incinta, la giovane donna scopre le lettere che Thomas ha inviato a Michael e, disgustata, le brucia, ordinando al marito di tenerla all'oscuro delle sue perversioni. Per Michael inizia, quindi, un lungo calvario, con cui deve necessariamente reprimere i propri istinti, pur ottenendo pochi risultati. I due uomini col tempo si allontanano, restando comunque legati da un forte sentimento. 
Ai giorni nostri, Adam è un veterinario che vive nello scantinato di sua nonna, Flora. Omosessuale, utilizza una delle numerose applicazioni per conoscere ed incontrare altri ragazzi, dando così voce alla sua dipendenza dal sesso. Un suo cliente, Steve, lo affascina sin da subito coi suoi modi gentili ed educati e viene interpellato dal ragazzo per ristrutturare il cottage che Flora dona al nipote. Tra Adam e Steve nasce un sentimento che tenta invano di restare sopito. Quando il rapporto tra Flora e Adam si complica, il ragazzo si rifugia tra le braccia di Steve, che gli promette di impegnarsi in questa relazione, a patto di non condividerla con una terza persona.

Man In An Orange Shirt è un parallelismo tra gli anni del secondo conflitto mondiale e il presente e la magistrale scrittura dell'autore ci fa percepire come le opinioni di una persona, a differenza dei tempi considerati, cambiano difficilmente. La storia mostra tre protagonisti: Michael, affascinante soldato, Flora, la sua giovane promessa sposa, e Adam, loro nipote. Terminata la guerra, Michael e Thomas vivono spensierati momenti in un cottage: cucinano, ammirano il paesaggio, fanno l'amore. Ma ciò che adesso è parte integrante della nostra società, a quel tempo era assolutamente proibito e i due uomini sono costretti a separarsi, per vivere una vita fatta di menzogne. Anche Adam, giovane nipote di Michael, è costretto a nascondersi: sua nonna, infatti, è all'oscuro della sua omosessualità e il ragazzo, sentendo questo limite, reagisce azzardatamente contattando altri ragazzi, lasciandosi andare ad un'ora di passione con perfetti sconosciuti. Ma Adam non si arrende: non vuole nascondersi, non vuole costruire una finta relazione solo per accomodare il pensiero di sua nonna, e così incontra Steve, che gli fa battere il cuore come nessun altro. Tuttavia, nella loro appena nata relazione si forma una crepa: Flora, ormai anziana, pur andando contro i suoi principi, dona al nipote la lettera che Michael scrisse a Thomas e che non gli ha mai inviato. Grazie a questa lettera, Adam riesce a sistemare la situazione, dandoci una prova dell'eternità dell'amore e rivendicando quel sentimento che suo nonno non ha potuto vivere pienamente. E forse è proprio questo il significato di questa meravigliosa miniserie britannica: l'amore, sia esso etero o omosessuale, non ha età, non ha epoche, non ha limiti. È un sentimento che risiede in noi sin dalla nascita ed è difficile, anzi, impossibile, reprimerlo. Perché reprimerlo significa andare contro la nostra stessa natura. È abbastanza comprensibile che Flora, la quale rappresenta la "vecchia" mentalità, sia ostile alle relazioni omosessuali del marito; ma è altrettanto comprensibile che Michael prima e Adam dopo non vogliano e non possano mettere a tacere il proprio istinto, dando vita a situazioni che rischiano di sfuggire loro dalle mani. 

Il cast è il vero fiore all'occhiello di questo sceneggiato: Flora è interpretata da Vanessa Redgrave, premio Oscar nel 1978 per il film Giulia e protagonista, insieme con Amanda Seyfried, di Letters To Juliet; Adam è interpretato dal giovane Julian Morris, volto noto della serie ABC Once Upon A Time in cui intepreta il principe Filippo e della serie Hand Of God.

Di seguito, alcune informazioni sulla miniserie:

CAST

Oliver Jackson-Cohen - Michael Berryman
James McArdle - Thomas March
Vanessa Redgrave - Flora Berryman
Julian Morris - Adam Berryman
David Gyasi - Steve

REGIA

Michael Samuels

SCENEGGIATURA

Patrick Gale


Infine, riporto la meravigliosa quanto struggente lettera di Michael:

"My darling Thomas, 
you refuse my visits, so you’re probably tearing up my letters too, but there’s nothing else I can do but keep trying. It’s beyond my control, do you see? All those months ago, when I had nothing to lose really, I wrote to you in my head but was too cowardly to set more than lies on paper and now I find I no longer care. The love I feel for you runs through me like grain through wood. I love you, Thomas. I love you. Your face, your voice, your touch  enter my mind at the least opportune moments and I find I have no power to withstand them. No desire to. I want us to be together as we were in the cottage. Only for ever, not just a weekend. I want it to go on so long that it feels normal. I want to do all the ordinary, unbedroomy things we never got around to doing. Making toast. Raking leaves. Sitting in silence. I love you, Thomas. I’ve always loved you. I see that now. Tell me I’m not too late".


Libri, si, ma anche...

Ho avuto la fortuna di guardare una miniserie della BBC, che mi ha fatto innamorare della storia, dei protagonisti, dell'atmosfera di una Londra autunnale, tanto da sentire la necessità di parlarne a qualcuno. Per questo ho deciso di apportare una piccola modifica a questo spazio: da oggi non parlerò solo di libri, ma anche di serie tv, film e altre opere artistiche che catturano la mia attenzione, scuotendo l'animo da sempre sensibile ad ogni forma d'arte.