martedì 28 dicembre 2021

"Don't look up": quando è troppo tardi

La dottoranda ricercatrice Kate Dibiasky osserva il cielo, con la speranza di scorgere dettagli interessanti sull'universo, quando si accorge che una cometa, proveniente dall'area più esterna del Sistema Solare, è in rotta di collisione con la Terra. Assistita dal professor Randall Mindy, Kate individua le dimensioni dell'astro: un diametro dai 6 ai 9 km, perfetti per distruggere l'intero Pianeta. I due astronomi, così, cercano in tutti i modi di avvisare la popolazione. 

Diretto e sceneggiato da Adam McKay (La grande scommessa, Vice - L'uomo nell'ombra), "Don't look up" è arrivato sulla piattaforma Netflix la vigilia di questo Natale, conquistando la vetta dei titoli più visti. Un cast d'eccezione rende questo film perfettamente corale: accanto a Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence (rispettivamente, Randall Mindy e Kate Dibiasky) troviamo Meryl Streep, nei panni di un'irriverente Presidente degli USA, Jonah Hill, Rob Morgan, Cate Blanchett, Timothée Chalamet e Ariana Grande, tra gli altri. Girato in piena pandemia, la pellicola usa come pretesto la cometa per criticare la società dei nostri giorni: in pratica, parla di pandemia senza parlare di pandemia. 
Quando i due astronomi cercano di avvisare la popolazione dell'imminente disastro, il governo statunitense dapprima li considera mentecatti, per poi usarli a suo piacimento per la campagna elettorale: d'altronde, non sono pochi gli esempi di presidenti che hanno usato la pandemia come mezzo per ottenere consenso, giusto? Questo, però, nella migliore delle ipotesi, perché sì, il mondo sta per essere distrutto, ma prima dell'Armageddon c'è tanto altro cui pensare. 
E ancora: i due giornalisti Brie e Jack (rispettivamente, Cate Blanchett e Tyler Perry) rappresentano pienamente il giornalismo sempliciotto e superficiale, che ha lo scopo di sdrammatizzare sulla verità nuda e cruda per indorare la pillola: in questo caso, senza attraversare l'Oceano, proviamo a ricordare qualche nostro fantomatico giornalista che l'anno scorso ha dato il meglio di sé in piena pandemia. 
Il personaggio di Di Caprio, poi, è una perfetta analogia di tutti quei medici, virologi e infettivologi che nell'arco di un anno sono entrati nel nostre case diventando protagonisti assoluti di palinsesti televisivi e social media, qui magistralmente ritratti come mezzo di assoluto distacco dalla realtà, perché se non racconti su Instagram della fine del mondo, allora quella fine del mondo te la meriti.
"Don't look up" fa ridere, fa riflettere, fa vergognare. È una commedia nella tragedia e viceversa, caricatura di un'umanità che sa dare voce alla qualunque senza prendere sul serio la scienza e chi della scienza ha fatto la sua vita. D'altronde, mica è la fine del mondo. 

lunedì 20 dicembre 2021

"Città di spettri" di Victoria Schwab

Cass è una ragazzina con un dono speciale: dopo essere stata nel mondo dei morti per via 
di un incidente ed essere tornata nell'al di qua, la sua vita è radicalmente cambiata, perché ora può vedere i fantasmi. Il suo dono consiste nell'avvertire un leggero, ma non tanto, tap-tap-tap e attraversare il Velo, ovvero il sipario che separa il mondo dei vivi da quello dei morti. Accompagnata da una macchina fotografica alquanto vecchia e da un migliore amico praticamente invisibile a tutto il resto del mondo, Cass scopre che il suo dono, in realtà, è quello di permettere agli spiriti di raggiungere la pace eterna. Ma, una volta arrivata a Edimburgo coi suoi genitori, la ragazza riuscirà a fuggire da un pericoloso nemico e salvarsi la pelle? 
"Città di spettri", scritto da Victoria Schwab e primo di una trilogia, arriva in Italia grazie a Mondadori, con quei mattacchioni della Oscar Vault che non sbagliano un colpo. Perché il romanzo, seppur breve, scorre meravigliosamente e la scrittura della Schwab ci trascina in un mondo luminoso colmo di ombre nascoste, scorgibili solo da un occhio attento e dotato della capacità di andare oltre. Scritto in prima persona, incalzante, misterioso, "Città di spettri" crea la giusta atmosfera tesa, a tratti asfissiante, perfetta per il lettore che vuole sentire un brivido scorrergli lungo la spina dorsale. A questo primo episodio seguono "Tunnel di ossa" e "Ponte di anime", pubblicati nella collana Oscar Fantastica Blink e in formato tascabile, perfetto da portare ovunque, persino sul bus. Ma attento: quel fremito, sì, proprio quello avverti quasi sotto pelle, potrebbe non essere dovuto a uno spiffero. 

"Le solite sospette" di John Niven

Quando Barry Frobisher muore, sua moglie Susan si ritrova in un mare di debiti. La sua migliore amica, Julie Wickham, vive una vita pietosa. Jill Worth deve fare da roccia alla sua povera figlia, costretta a vedere la vita del suo figlioletto scivolargli via dalle mani, non potendo permettersi il costo di un'operazione che potrebbe salvarlo. E poi c'è Ethel Merriman, quasi novantanni portati egregiamente su una carrozzina e dalla lingua lingua. Per venire incontro alle loro esigenze, le quattro donne decidono di metter su una banda di ladre per svaligiare una banca, sgraffignare qualche milione di sterline e salvare la propria vita. Sulle loro tracce c'è Boscombe, un sergente detective tanto sbadato quanto pasticcione. 
Questi i protagonisti de "Le solite sospette", romanzo di John Niven pubblicato da Einaudi nel 2016, noto ai più per l'irriverente "A volte ritorno". Un romanzo che divide i lettori in chi lo ritiene una delle storie più divertenti degli ultimi anni e chi lo denuncia per sciatteria. Eppure, ancora una volta Niven si dimostra non solo un formidabile narratore, in grado di creare personaggi memorabili e divertenti, ma anche un grande comico. Perché, checché se ne dica, "Le solite sospette" diverte, e lo fa mettendo a nudo la natura umana, in forma di quattro donne in età avanzata che pensano di meritarsi gioia e serenità, dopo un'esistenza faticosa, e che invece devono far fronte a una cruda realtà. Proprio in questo risiede la grandiosità di Niven: una narrazione apparentemente piatta, ma ricca di sfumature, battute incalzanti e scene divertenti, degne di una commedia dalle tinte noir. Il politicamente corretto viene messo da parte, con Niven, per dare vita a romanzi irriverenti, colmi di ironia e sarcasmo, allo scopo di ribaltare la realtà, dissacrarla e mostrarla per quello che è. 

domenica 28 novembre 2021

"Aristotle e Dante scoprono i segreti dell'universo" di Benjamin Alire Sáenz al

"Perché sorridiamo? Perché ridiamo? Perché ci sentiamo soli? Perché siamo tristi e confusi? Perché leggiamo poesie? Perché piangiamo quando guardiamo un quadro? Perché il nostro cuore si agita quando amiamo? Perché ci vergogniamo? Che cos'è quella cosa che prende allo stomaco chiamata 'desiderio'?". Sono queste le domande che tutti noi ci siamo posti quando l'adolescenza ha colpito in pieno mente e corpo, preparandoci, anche se forse non adeguatamente, all'età adulta. E sono queste le domande che Aristotle e Dante si pongono, cercando una risposta nella vita quotidiana. I due adolescenti sono protagonisti di "Aristotle e Dante scoprono i segreti dell'universo", romanzo di Benjamin Alire Sáenz, pubblicato in lingua originale nel 2012 e ora in libreria per Mondadori Oscar Vault. Aristotle, detto Ari, è un quindicenne introverso dal lessico povero ma essenziale, nella vita del quale aleggia il fantasma di suo fratello Bernardo, ora in carcere e quindi rifiutato dalla memoria della famiglia. Dante, invece, è figlio di un professore e di una psicologa e trascorre la sua vita tra nuoto, poesie e pittura. Due adolescenti dalla personalità diametralmente opposta che si conoscono per caso e cercano l'uno nell'altro le risposte ai misteri dell'universo. Una ricerca, questa, che prende di mira i grandi temi della nostra vita, come l'amicizia, l'amore, l'esistenza stessa, e, proprio come le due grandi menti di cui portano il nome, sfocia in dissertazioni spesso filosofiche per trovare i segreti dell'universo. Il romanzo, caratterizzato da uno stile semplice e fluente, rappresenta la formazione di Aristotle e Dante, il primo chiuso nel suo mondo, dove combatte una guerra silenziosa senza chiedere alcun aiuto, il secondo curioso e senza freni, alla ricerca di risposte da cui nascono ulteriori domande. D'altronde, è proprio l'adolescenza l'età della scoperta, di noi stessi e di ciò che ci circonda. Fondamentale, quindi, un pensiero di Ari: "La percezione dell'immensità dell'universo aveva suscitato qualcosa in me. Il mondo era più vicino e più grande di quanto avessi mai immaginato. E tutto era così bello e così straordinario e, non so, era come se avessi capito che c'era qualcosa di importante dentro di me". Un'età in cui ci si sente internamente grandi, immensi, capaci di conquistare il mondo e cambiarlo. Sensazione, questa, che nasce però dalla scoperta di ciò che abita dentro di noi, di ciò che ci rende quello che siamo, difetti e pregi inclusi. Ecco, quindi, che questa non è solo la storia di due adolescenti alla scoperta del mondo, ma la ricerca della propria identità, dell'Io puro e inconfutabile, una dimensione segreta e nascosta, spesso temuta, ma che rappresenta pienamente la nostra essenza.
"Aristotle e Dante scoprono i segreti dell'universo" (Mondadori Oscar Vault, 2021) è la dolcissima storia della scoperta dell'universo che abita in noi.




domenica 21 novembre 2021

"Cemetery Boys" di Aiden Thomas

Yadriel è un ragazzo trans, latinx e membro di una comunità brujx molto tradizionalista, che fatica ad accettare il "diverso". Desideroso di dimostrare loro la sua valenza, decide di rivolgersi alla Santa Muerte per evocare lo spirito di suo cugino Miguel, morto assassinato, per donargli la pace eterna. Ma qualcosa va storto: Yadriel evoca lo spirito di Julian Diaz, suo compagno di scuola, e, tenendolo nascosto da tutti, cercherà di risolvere il mistero della sua morte.
"Cemetery Boys", romanzo di Aiden Thomas, immerge il lettore sin dalle prime pagine in un'atmosfera latina dall'antica tradizione, quella devota alla Santa Muerte, e lo fa durante la celebrazione dei defunti, raccontando di un ragazzo trans il cui unico desiderio è affermare la sua esistenza sia come persona queer che come brujo. Ed è qui che si erge la maestria dell'autore: perfettamente incastrata all'interno della narrazione, Thomas lascia qui e là spaccati di vita e tradizioni tipiche della cultura latinx, passando per le decorazioni del Día de Muertos e la quotidianità di una famiglia latinx, capeggiata dalla nonna Lita. In quest'atmosfera quasi onirica, protagonista assoluto è Yadriel, ostracizzato dalla sua stessa comunità perché trans. Tuttavia, al contrario della ristretta mente umana, la Santa Muerte dimostra che egli stesso è parte integrante di questa grande famiglia ed è dotato degli stessi poteri degli altri brujos. Si può leggere in questo una lotta al tradizionalismo, che chiude, limita, costruisce barriere apparentemente invalicabili perché colmo di paura. D'altronde, non è forse la paura a spingere l'essere umano a precludersi la possibilità di sperimentare il nuovo? E non è proprio il nuovo a spaventare la sua ristretta mente? Yadriel incarna l'altro, il diverso appunto, la cui identità, quella che il resto della comunità vede ma non riesce ad accettare, ha le stesse origini della sua famiglia e fa di tutto affinché i suoi cari lo vedano per quello che è, rendendo così il romanzo la storia di un'identità, che sia della singola persona o di un'intera comunità. Dal punto di vista stilistico, Thomas ci regala un racconto introspettivo, dalla narrazione squisita, delineando perfettamente i tratti di ogni personaggio, dal protagonista Yadriel a sua cugina Maritza, per finire poi col giovane Julian, la cui seppur incorporea presenza affascina e conquista il lettore sin dalle prime pagine. Il tutto accompagnato da una magistrale descrizione della cultura brujx, una stirpe di individui dotati di poteri ottenuti in dono dalla Santa Muerte per proteggere il legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti. E proprio in questo risiede l'importanza di un romanzo come "Cemetery Boys": in un tempo in cui quasi tutti ci sentiamo capaci di parlare di ciò che non ci riguarda, dando sempre più spazio all'appropriazione culturale, Aiden Thomas è parte integrante di quella comunità, la conosce e la vive e ne può raccontare ogni sfumatura con sapienza e diligenza, utilizzando, tra l'altro, un linguaggio inclusivo, che oggi prende sempre più il sopravvento affinché nessuno venga messo da parte. A tal proposito, è necessaria una menzione d'onore anche per la casa editrice che ha portato il romanzo in Italia: Oscar Vault si dimostra sempre più inclusiva, una collana che abbraccia generi e identità diverse, e lo fa lasciando sul retro della copertina il bollino che identifica il romanzo stesso. In questo caso, ad impreziosire la già bellissima copertina di "Cemetery Boys", troviamo il bollino coi colori dell'identità trans, che proprio ieri, sabato 20 novembre, ha ricordato le vittime dell'odio e del pregiudizio, in occasione del Transgender Day of Remembrance. Un plauso va anche e soprattutto alla traduttrice, Martina Del Romano, che ha saputo adattare il linguaggio inclusivo del romanzo nella nostra lingua, ancora troppo limitata perché appannaggio del maschile. 
A chi vede solo una storia fantasy in "Cemetery Boys" (Mondadori Oscar Vault, 2021) consiglio di rileggerlo prestando più attenzione ai dettagli, ai particolari, perché solo così potrà cogliere quelle sfumature della narrazione che, d'altro canto, sono presenti anche nella vita di tutti i giorni e che rendono il mondo più colorato, diverso, dove la diversità ci rende, in fin dei conti, tutti uguali.

sabato 6 novembre 2021

"Il Maialino di Natale" di J. K. Rowling

"Come sarebbe bello, se potessimo vivere nelle favole", dice Maurizio de Giovanni, forse con un po' di ragione. Le favole hanno il potere di incantare i lettori di tutte le età, di lasciare nei loro cuori e nelle loro menti una morale, anche solo velata. Certo, negli anni sono cambiate, ma il messaggio è sempre quello. Lo sa bene J. K. Rowling, la pluripremiata autrice dell'immortale saga di Harry Potter e, da qualche anno a questa parte, della serie sul detective Cormoran Strike, che torna in libreria proprio con una favola natalizia, "Il Maialino di Natale". Protagonista è il bambino Jack, affezionato al suo peluche a forma di maialino, Lino. Un giorno, Jack perde Lino, presto sostituito da un altro. Ma questo non ha niente a che vedere col suo amato Lino: è nuovo, pulito, non sa di casa, di amore, di amicizia, di niente. Eppure, quel maialino così anonimo convince Jack ad andare alla ricerca del suo Lino. Inizia così un viaggio rocambolesco che li porta nella Terra dei Perduti, dove ogni Cosa persa nella Terra dei Vivi viene smistata in una determinata città a seconda del suo destino. Saranno tante le avventure di Jack e del Maialino, ma riusciranno a ritrovare Lino e ritornare sani e salvi nella Terra dei Vivi?
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla fantasia della Rowling, nonostante l'universo di Harry Potter, i gialli di Strike e il recente Ickabog, provi a leggere "Il Maialino di Natale" e ogni dubbio verrà risolto. In questa favola, ambientata nella notte della vigilia di Natale, ovvero la notte dei miracoli e delle cause perse, l'autrice ci racconta una storia di amore e fedeltà per le Cose che possediamo e che, soprattutto, rischiamo di perdere facilmente, troppo facilmente. Un forte richiamo a Toy Story (Pxar, 1995) rende lucidi gli occhi dei lettori nati e vissuti nell'ultimo decennio del secolo scorso, mentre, sotto una narrazione fantastica, si nasconde un messaggio che fa riflettere: da un lato, vi è il potere della fantasia, capace di trasportarci in dimensioni senza tempo né spazio; dall'altro il rispetto di ogni Cosa, non perché possieda un'anima, ma perché ha richiesto tempo, lavoro e fatica per venire al mondo. A tal proposito, si potrebbe citare "I segreti di Heaphouse", saga di Edward Carey, in cui fa da sfondo un cumulo immenso di immondizia e dove ogni personaggio, membro della dinastia Iremonger, che di quel cumulo è la custode, possiede un oggetto natale del quale il protagonista Clod sente la voce, come se quell'oggetto ricordasse l'anima del suo precedente proprietario. Nasce, quindi, una riflessione sul possesso degli oggetti, soprattutto in un'epoca come la nostra, dedita al consumismo, dove chi più possiede è considerato felice. Ma la felicità può derivare dagli oggetti? Probabilmente, per Jack e per ogni bambino, sì, che si tratti di un peluche o di un pezzo di legno. Ciò che conta è avere sempre rispetto di ciò che maneggiamo e, soprattutto, dell'ambiente che ci circonda, dal momento che ogni cosa persa potrebbe essere fonte di inquinamento o, peggio ancora, divorata dal perfido Perdente.
"Il Maialino di Natale" (Salani, 2021) è l'avventurosa storia di un viaggio alla ricerca di ciò che più ci sta a cuore, nella notte più magica dell'anno.

martedì 2 novembre 2021

"Piccole donne" di Greta Gerwig

“Le donne hanno una mente, hanno un'anima non soltanto un cuore! Hanno ambizioni, hanno talenti e non soltanto la bellezza! Sono così stanca di sentir dire che l'amore è l'unica cosa per cui è fatta una donna, sono così stanca di questo!”
Doveroso citare una delle battute più belle, importanti e moderne di "Piccole donne" (Pascal Pictures, 2019), adattamento cinematograficodiretto del famoso romanzo di Louis May Alcott diretto dalla meravigliosa Greta Gerwig e vincitore del Premio Oscar per i migliori costumi a Jacqueline Durran. Protagoniste sono le sorelle March, Jo (Saoirse Ronan), Meg (Emma Watson), Amy (Florence Pugh) e Beth (Eliza Scanlen) e la storia, narrata proprio dal punto di vista di Jo, inizia nel 1868, quando la ragazza svolge il ruolo di insegnante a New York. Un telegramma della sorella Meg le chiede di tornare a casa a causa dell'aggravarsi delle condizioni di Beth e la giovane donna, sulla strada di ritorno, ripercorre la vita, sua e delle sue sorelle, prima del trasferimento a New York. 
Celebre è la storia raccontata dalla Alcott, un must della letteratura per bambini e ragazzi. Ma alla Gerwig bisogna riconoscere il merito di aver realizzato una pellicola fedele all'originale eppure così moderno, femminista. Anche la fotografia è degna di nota, con paesaggi tipicamente e nostalgicamente americani. I costumi, premiati con l'ambita statuetta d'oro, sono stati finemente cuciti per ricreare le atmosfere dell'epoca. Il riconoscimento più importante, però, va proprio al cast e in particolar modo a queste giovani donne, in grado di ricreare i personaggi con tale profondità e sensibilità da fare credere che, in realtà, non stiano recitando. Saoirse Ronan, poi, buca lo schermo, soprattutto nelle scene al fianco di Timothée Chalamet, qui nelle vesti di un giovane e spavaldo Theodore Laurence. Senza dimenticare la presenza di Louis Garrel, affascinante come di consueto, e della sempiterna Maryl Streep, nei panni di una dispotica ma dal cuore tenero Zia March.
"Piccole donne" è, in definitiva, il racconto moderno, ed egregiamente piacevole, di un romanzo che ha fatto la storia della letteratura americana e mondiale, in un'epoca dominata dal patriarcato, che voleva, e in alcuni Paesi vuole tuttora, lasciare piccole le donne. Eppure, come la storia e, per certi versi, anche la stessa Alcott, insegna, il mondo segue una strada totalmente diversa. D'altronde, "le donne fanno molti miracoli".