martedì 31 dicembre 2019

A far conti coi... libri

Il 31 dicembre è il giorno dei bilanci. Social networks come Facebook e Instagram vengono intasati da post che riassumono l'anno appena trascorso e mostrano i propositi per quello nuovo. I miei bilanci non sono molto entusiasmanti: mi sono laureato, e va benissimo. Sono tornato nella mia città preferita al mondo, e va benissimo. Ho visitato una nuova città, conosciuto una nuova cultura, imparato un'altra lingua, ed è tutto molto bello. Ma chi non mi ha mai abbandonato in questi dodici lunghi e interminabili mesi sono proprio loro, i libri. Ne ho letti tanti, sapete? Romanzi, racconti, graphic novel. È stato un anno piuttosto variegato, alla scoperta di autori, vecchi e nuovi, che mi hanno tenuto compagnia quando non c'era nessun altro a farlo. Ecco, quindi, la mia personalissima lista dei dieci libri che più ho amato in questo 2019.

10. Un luogo dove non sono mai stato - una serie di racconti che parlano del mondo lgbt ai tempi dell'inizio dell'HIV, dove la paura di contrarre l'infezione andava a braccetto con quella della solitudine.

9. Scintille - altra serie di racconti, basati su incontri realmente accaduti che hanno cambiato la vita di entrambe le parti in gioco.

8. Il censimento dei radical chic - una favola distopica su un'Italia, letteralmente, in pericolo.

7. Non è successo niente - perfetta simbiosi di ironia, sarcasmo e cinismo, con una velata di malinconia.

6. Inni alle stelle - favola di genere fantastico sul senso della vita e il nostro destino. 

5. Mercedes - storia di una donna pronta a tutto pur di far valere le proprie indipendenza e forza.

4. A volte ritorno - storia di un redivivo Gesù, che ritorna sulla Terra, ma di certo non come ce lo aspettiamo.

3. Bianco letale / Cercami - due romanzi nettamente opposti, che parlano di un omicidio all'apparenza irrisolvibile e di un amore certamente indistruttibile.

2. Camere separate / Le semplici cose - due epoche diverse che diventano binari per un treno, quello dell'amore omosessuale, raccontato con differente eppure uguale maestria.

1. What if it's us - un primo posto che sicuramente sarebbe messo in discussione dai più, ma questo romanzo, destinato ai lettori più giovani, mi ha tenuto incollato alle sue pagine per notti intere, mi ha fatto innamorare dei suoi dolcissimi protagonisti e, perché no?, credere un po' di più nell'amore.

Ecco, ho finito. È stata dura scegliere questi titoli e lasciarne fuori altri. Ma, come il 31 dicembre ci insegna, talvolta è necessario passare in rassegna tutto quello che abbiamo vissuto, fare dei bilanci e prepararsi al prossimo passo. Sarà in salita? Forse in discesa? Per adesso non possiamo dirlo. Ed è proprio lì che risiede il brivido dell'anno nuovo.

Buon anno nuovo, cari lettori. Che sia prospero di felicità, libri e un pochino di soldi, che non guastano mai. 

Da Valencia è tutto. ¡Hasta luego! 

martedì 5 novembre 2019

Cercami, di André Aciman. Storia di un eterno amore

“ […] e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome”.
Termina così quello che, senza ombra di dubbio, può essere considerato il grande capolavoro di André Aciman. ‘Chiamami col tuo nome’ usciva in Italia nel lontano 2008, conquistando una consistente fetta di pubblico che avrebbe poi amato la trasposizione cinematografica di Luca Guadagnino, vincitrice del premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. “Un eccezionale debutto”, lo definisce il Washington Post, e tale possiamo definire la storia dell’adolescente Elio, infatuatosi, a prima vista, dell’americano Oliver, ospite nella casa del padre. Se Elio rappresenta l’età dell’innocenza, Oliver è la concretezza del desiderio carnale, il culmine della passione e del piacere, destinato a lasciare un profondo segno nel cuore del ragazzo. Undici anni dopo, forse inaspettatamente, i due protagonisti tornano con una nuova storia, ‘Cercami’. Sono entrambi ormai adulti, hanno scelto una strada, che è però stata percorsa con poca convinzione, quasi fosse stata decisa dal buon costume. In cuor loro, tuttavia, sanno che nulla può distruggere un amore passato, che passato non è, ma vivo, vigile, eterno.
‘Cercami’ si apre con il racconto, quasi surreale, di Samuel, padre di Elio, che, in viaggio verso Roma, conosce una donna, Miranda, di cui si invaghisce all’istante. Il sentimento è ricambiato, tanto che i due, dopo aver festeggiato il compleanno del padre di lei, si mettono a nudo, finiscono a letto, condividono paure e segreti, stabilendo un rapporto di carne e fuoco. L’autore dipinge il sessantenne come un ragazzino in preda ai primi cambiamenti ormonali della natura adolescenziale, e lo fa con un stile altisonante, il quale non rispecchia, però, la bassezza della situazione raccontata. Unica luce in questo buio totale è l’entrata in scena di Elio, ormai trentenne, il cui scambio di battute col padre ci riporta ai fasti del primo romanzo.
La seconda parte vede un Elio adulto, pianista, adulato dai suoi studenti e da un uomo che conosce alla fine di un concerto in una Parigi quasi idilliaca. Un gioco di sguardi, un silenzio richiesto tra una domanda e l’altra, portano i due a una conoscenza che non sfocia immediatamente nel sesso, ma, anzi, viene costellata di passeggiate, cene, sguardi colmi di parole. Michel cattura Elio col suo fascino, il racconto della sua vita, ed Elio vi si abbandona completamente, tanto da desiderare un contatto profondo col suo corpo, pur sapendo che il suo cuore appartiene, da sempre e per sempre, a Oliver.
E proprio Oliver sarà il protagonista della terza parte, intitolata “Capriccio”, non a caso, d'altronde. Perché Oliver, sposato e con due figli adolescenti, prova attrazione verso un collega universitario e una compagna di yoga, a tal punto da immaginare di fare l’amore con loro, in un rapporto equamente tripartito. Anche lui, però, sa che la vera natura di una persona non può essere messa a tacere. Così si ritrova a parlare con Elio, talvolta senza ricevere risposta, a sentire quella sonata di Bach che scandiva il suo soggiorno in Italia.
Nella quarta ed ultima parte, le strade di Elio e Oliver, ormai separate da anni, si incroceranno di nuovo, ad Alessandria. I due, che tanto si sono cercati, finalmente si ritrovano, consapevoli di non essersi mai persi e consci del fatto che, nonostante i diversi anni che li hanno tenuti lontani, nulla è cambiato e che quel sentimento che una volta ardeva in loro non si è mai spento.
Un finale, quello di 'Cercami', nel quale tanti lettori del primo romanzo hanno sperato. È tuttavia il modo in cui viene raccontata la storia a far comprendere che in realtà quel finale, così malinconico, era perfetto. Aciman ha voluto sperimentare, forse spinto dal successo globale riscontrato con l’uscita della pellicola, ma pecca di luoghi comuni, di elementi triti e ritriti, che nulla apportano al rapporto adolescenziale tra Elio e Oliver. Se già il primo episodio rimarca costantemente il legame tra i due, “Cercami” nulla di più aggiunge.
Uno dei pochi pregi è lo stile. Aciman torna prepotentemente e giustamente a conquistare il cuore dei lettori con una struttura sintattica impeccabile e una scrittura delicata, mettendo in bocca ai suoi protagonisti citazioni di un certo livello, raccontando di un rapporto fisico che è prima di tutto rapporto mentale. Pagina dopo pagina, si riesce a percepire come una poesia, una musica che è quella suonata dal pianoforte, elemento costante del racconto. Ma ciò non basta: non è sufficiente adottare un stile delicatamente sofisticato per colmare il vuoto di una storia.
A primo impatto, quindi, il lettore si troverà di fronte a un dilemma: 'Cercami' è da bocciare? La risposta è, e sempre sarà, no, perché la letteratura ha bisogno di André Aciman. La letteratura ha bisogno di uno scrittore in grado di raccontare un sentimento complesso come l’amore. Il seguito di 'Chiamami col tuo nome', salvo qualche elemento, non è un esperimento riuscito, sì, ma è comunque l’ennesima prova di abilità di un scrittore che sa usare le parole per arrivare dritto al cuore.

lunedì 27 maggio 2019

Rinascere dalle ceneri

La politica non è mai stata il mio mestiere, si sa. Troppo difficile, troppo complessa, dai meccanismi oscuri  per la mia mente. Solo negli anni scorsi, grazie all'aiuto di un'amica, mi ci sono avvicinato. Ho iniziato a leggere, a studiare, a seguire i telegiornali e pian piano sono entrato nella rete dei maccanismi politici, complice anche il proseguimento degli studi, che, esuli dalla politica, mi hanno comunque permesso di analizzare la situazione attuale. Non è però merito delle due lauree in mio possesso la mia, limitatissima,  capacità di capire. No, basta il buon senso, a mio avviso. E il buon senso mi dice che noi tutti, Italiani prima ed Europei poi, stiamo andando inesorabilmente verso il baratro e, da masochisti, ci stiamo consegnando nelle mani del cacciatore. Abbiamo avuto, ieri 26 maggio 2019, la possibilità di cambiare le carte in tavola, di rivoltare la situazione mondiale, di spianare la strada al miglioramento. Possibilità che è stata frantumata dall’ignoranza, dal mancato discernimento, dalla fede in parole forbite che nascondono un solo significato: distruzione. E, in pieno spirito distruttivo, stiamo portando verso il fallimento una delle più grandi creazioni politiche, l’Europa. L’Europa non è, a mio avviso, un ambiente costrittivo, di regole forzate, di austerità. L’Europa non è solo un  continente meraviglioso, di pianure e colline e monti, di fiumi incantevoli e luoghi senza tempo. L’Europa è, anche e soprattutto, culla della diversità, ricchezza di lingue e popoli differenti. E noi la stiamo distruggendo. Proviamo ad  immaginare  l’alfabeto: esso è tale perché vocali e consonanti si combinano a delineare una  successione armoniosa di lettere e suoni. Adesso proviamo ad eliminare qualche lettere, iniziando dalla g. Non potremmo più pronunciare e usare parole come gatto o gelato, patrimonio dell’umanità. E se togliessimo la o? Sparirebbero ombra e orme o ornamento. Così, dunque, eliminando un Paese  dall’Unione Europea e poi un altro e  un altro  ancora, questo castello costruito nel tempo con tanta fatica andrebbe via via sgretolandosi, per poi lasciare un incolmabile vuoto. E lo stesso discorso può essere applicato ai suoi cittadini. Io, oggi, sono estremamente preoccupato per il futuro mio e dei miei amici e per quello dei nostri figli. Io, oggi, sono estremamente preoccupato per il futuro del nostro pianeta, che immagino come un vecchietto stanco e afflitto,  incapace di portare a termine  anche il  più semplice dei compiti. Io, oggi, sono estremamente preoccupato  per la diversità,  che è sinonimo  di bellezza, che è genitore dell’evoluzione. E in questo scenario tragico, c’è solo una cosa da fare: restare  uniti. Hold on to each other, dice  una canzone. Perché l’unione fa la forza  e solo uniti potremmo  sperare in un futuro migliore. Abbattiamo i muri e costruiamo ponti sulle loro rovine. Bruciamo le armi, cosicché fiori perpetui possano nascere dalle loro ceneri. E, magari, anche noi esseri umani potremmo rinascere, nuovi, freschi, degni di essere considerati tali.

giovedì 16 maggio 2019

17 maggio: giornata mondiale contro omofobia, bifobia e transfobia

Oggi, 17 maggio, è la giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Parole, queste, che per molti abitanti del nostro pianeta sono un colpo al cuore, una coltellata. Chi di noi non vorrebbe vivere in piena libertà, fiero di chi è, senza dare spiegazioni sulla propria sessualità? Purtroppo, però, ancora oggi migliaia, anzi, milioni di persone vivono nascoste, nell’ombra, chiuse in quell’armadio che regala loro una temporanea serenità, perché fuori è brutto, devi assecondare i principi di una società ottusa e violenta, di politici bigotti, che non vogliono assicurare i diritti ad ogni cittadino. Ogni giorno un adolescente si sveglia consapevole di dover fingere di essere qualcuno che non è, perché il desiderio di mostrare la propria personalità è sopraffatto dalla paura di essere additati come ‘malati’. Ma proprio il 17 maggio 1990 l’omosessualità viene depennata dalla Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), in quanto la sua inclusione in tale lista risulta infondata. Nonostante questo grande passo verso una moderna civilizzazione, gran parte della popolazione si ostina a considerare ‘anormali’ gli omosessuali, nonché i bisessuali e i trans. Eppure, come per tutti gli altri, si parla di persone, di esseri umani, di cittadini che godono e devono godere degli stessi diritti e degli stessi doveri. Probabilmente questo è di difficile comprensione per il tredicenne bullo che si avvale del diritto di parola per offendere il compagno di classe timido e taciturno. Ma i politici? Loro sono giustificati? No, non lo sono. Anzi, proprio in nome della carica che rivestono, devono essere i primi a proteggere i loro cittadini, a garantire la completa uguaglianza, in un’epoca in cui persino la Chiesa, rappresentata da Papa Francesco, ha smesso di lottare per eliminare gli omosessuali. Historia magistra vitae, diceva Cicerone. E allora che la più grande fonte di insegnamento siano i moti di Stonewall, iniziati nel giugno 1969. Che sia di insegnamento la lotta di Harvey Milk. Che siano di insegnamento tutti gli omosessuali deportati nei campi di concentramento e di sterminio. E che sia di insegnamento anche ciò che disse Gesù: «Come io vi ho amato, così anche voi amatevi gli uni con gli altri». Io, nel mio piccolo, sogno un mondo in cui non vi sia più necessità di fare coming out, di aver paura a dire chi veramente sei. Sogno un mondo in cui un uomo possa camminare mano nella mano col proprio fidanzato. Sogno un mondo in cui una donna, consapevole che il corpo in cui è nata non le appartiene, decida di cambiare sesso in completa libertà, senza sguardi indiscreti, dicerie, maldicenze. Sogno un mondo in cui siamo tutti allo stesso livello, individui della stessa natura, uguali cittadini con uguali diritti e uguali doveri. Solo allora potremmo definirci tutti effettivamente liberi.

sabato 19 gennaio 2019

Uno splendido monologo di Roberto Benigni

Si ricapitola, si riassume in questa parola: amarsi; peró c’è una cosa da dire: che il tempo passa, e il problema fondamentale dell’umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso.. amarsi.
Solo che ora e diventato piú urgente, molto piú urgente, e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l’un l’altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo.
Ci dobbiamo affrettare.
Affrettiamoci ad amare.
Noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi.
Affrettiamoci ad amare.
Perché al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore.
Perché non esiste amore sprecato, e perché non esiste un’emozione più grande di sentire quando siamo innamorati che la nostra vita dipende totalmente da un’altra persona, che non bastiamo a noi stessi.
E perché tutte le cose, ma anche quelle inanimate, come le montagne, i mari, le strade, ma di più, di più, il cielo, il vento, di più, le stelle, di più, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi, tutte queste cose che di per se sono vuote, indifferenti.
Improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono, perché?
Perché contengono un presentimento d’amore, anche le cose inanimate, perché il fasciame di tutta la creazione è amore e perché l’amore combacia con il significato di tutte le cose.
La felicità, sì, la felicità, a proposito di felicità, cercatela, tutti i giorni, continuamente, anzi chiunque mi ascolti ora si metta in cerca della felicità ora, in questo momento perché è lì, ce l’avete, ce l’abbiamo, perché l’hanno data a tutti noi.
Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l’hanno data in regalo in dote, ed era un regalo così bello che lo abbiamo nascosto, come fanno i cani con l’osso quando lo nascondono, e molti di noi l’hanno nascosto così bene che non sanno dove l’hanno messo, ma ce l’abbiamo.
Ce l’avete, guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all’aria, i cassetti i comodini che c’avete dentro e vedete che esce fuori, c’è la felicità, provate a voltarvi di scatto magari la pigliate di sorpresa ma è lì, dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei. Fino all’ultimo giorno della nostra vita, e non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire eh.. non bisogna aver paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero, saltate dentro all’esistenza ora, qui.

Perché se non trovate niente ora non troverete niente mai più, é qui l’eternità, dobbiamo dire sì alla vita, dobbiamo dire un sì talmente pieno alla vita che sia capace di arginare tutti i no, perché alla fine di queste due serate insieme abbiamo capito che non sappiamo niente, e che non ci si capisce niente, e si capisce solo che c’è un gran mistero e che bisogna prenderlo com’è e lasciarlo stare.

Perché la cosa che fa più impressione al mondo è la vita va avanti e non si capisce come faccia, ma come fa?! ma come fa a resistere, ma come fa a durare così, è un altro mistero e nessuno l’ha mai capito perché la vita è molto più di quello che possiamo capire noi, per questo resiste, se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita da tanto, tanto tempo.

E noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all’altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito, e allora a ognuno di noi non rimane che una cosa da fare, inchinarsi, ricordarsi di fare un inchino ogni tanto al mondo, piegarsi, inginocchiarsi davanti all’esistenza.


mercoledì 16 gennaio 2019

Sex Education, o della rivoluzione in streaming

L'11 gennaio il colosso dello streaming Netflix ha reso disponibile Sex Education, una serie inglese destinata agli adolescenti, ma che può risultare utile anche a qualche adulto. Il tema centrale è il sesso: Otis, sedicenne figlio di una psicoterapeuta sessuale, sfrutta tutto ciò che ha imparato dalla madre nel corso degli anni e, grazie all'aiuto della ribelle Meave e del migliore amico Eric, lo mette a disposizione dei suoi compagni di scuola, per aiutarli a superare le difficoltà in ambito sessuale.

Deliziosamente spinta, Sex Education non si lascia intimidire dai tabù che per anni hanno cercato di tenere nascosto il sesso e, anzi, fa ricorso a un pretesto per portare gli adolescenti su un tema così delicato. Se pensiamo agli anni passati, quando una giovane donna doveva arrivare illibata al matrimonio e i genitori, dopo la prima notte di nozze, avevano il dovere di controllare le lenzuola, si comprende la grandezza del passo in avanti compiuto da intere generazioni che hanno "legalizzato" il sesso. D'altronde, quasi ogni prodotto televisivo e cinematografico ha una componente, velatamente o esplicitamente, sessuale, tanto da dar vita a fenomeni, in alcuni casi certamente discutibili, come 50 Sfumature. Ma è anche merito di internet: in quest'età moderna, tecnologica, l'elevata disponibilità di questo strumento permette un facile e immediato accesso a svariati contenuti, per lo più illegali, ma che hanno comunque avuto la capacità, il potere di aprire la mente. E proprio in questo contesto si inserisce Sex Education, dove temi come il bullismo, l'omosessualità, il ciclo mestruale, i rapporti orali sono all'ordine del giorno. Sarebbe comunque errato pensare che questa serie sia frivola o sporca. E i motivi sono diversi. Innanzitutto, la fotografia: ogni fotogramma sembra derivare da un film Indie dell'anno passato, con colori carichi di espressione, accompagnati a una colonna sonora leggermente '80s, che non fa altro che mettere in risalto la storia e i suoi personaggi, altro punto forte. Otis è interpretato da Asa Butterfield (Il bambino con il pigiama righe, Hugo Cabret, Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali), giovane attore inglese dagli occhi azzurri e l'arte della recitazione nel sangue; la madre è interpretata da Gillian Leigh Anderson, la Dana Scully del cult X-Files. Chi alle prime armi, chi ormai con una carriera consolidata, gli interpreti del nuovo prodotto Netflix trascinano nella storia, catturano, ammaliano, fanno ridere, emozionare, sono parte integrante della storia, come se i personaggi fossero stati cuciti addosso. È raro trovare un attore che si immedesimi in un personaggio a tal punto da diventarlo completamente e tu, spettatore, che compri il biglietto dello spettacolo delle 20 emozionato all'idea di rivedere il tuo beniamino, ti ritrovi con una sola domanda in testa: 'ma è davvero lui?'."
Il terzo punto forte della serie è il tema 'omosessualità'. Mai come in questi ultimi anni ho potuto assistere, da semplice spettatore, alla forte propagazione di questo argomento in libri, musica e opere cinematografiche. E ciò che mi rende più orgoglioso è la delicatezza con cui viene trattato. In Sex Education si assiste al cambiamento di uno dei personaggi più amati, che fa cadere ogni barriera, ogni costrizione familiare e si lascia invadere dalla sua vera natura, il tutto rappresentato come se un pennello, intriso di colore, si posasse delicatamente sulla tela. Non dovremmo sottovalutare tale aspetto: un prodotto destinato agli adolescenti ha il dovere e il diritto di trattare determinati temi, per sensibilizzare, sì, anche se questo termine, nel 2019, potrebbe apparire anacronistico. È necessario che gli adulti di domani conoscano tutti gli aspetti della vita di una persona, perché è solo educando che il genere umano ha qualche possibilità di salvarsi. E allora ben venga Sex Education, gioiellino di Netflix e forte contributo alla rivoluzione degli ultimi anni.

lunedì 14 gennaio 2019

Se è qualcosa

"Se è qualcosa, ci vediamo domani".
Rimango interdetto di fronte a quell'espressione. Che significa 'se è qualcosa?'. Probabilmente il suo mittente ha cercato un modo carino per dirmi 'guarda, non avrò molta voglia di vederti domani, quindi, se ci troviamo nello stesso luogo allo stesso momento, bene. Altrimenti, addio'. Ci sta. Quanto volte ho intravisto da lontano una persona che non volevo salutare e ho proseguito a testa bassa? O, ancora, quante volte ho fatto finta di parlare al cellulare, pur di evitare ogni contatto umano? No, questo no. Non l'ho mai fatto. Non per pudore, sia chiaro, ma perché non volevo ricordare una certa persona del mio paese, nota a tutti per le sue passeggiate in centro col cellulare all'orecchio e un interlocutore inesistente. Eppure, la capisco. Mi piace pensare che anche lei voglia evitare ogni tipo di contatto. Il motivo non lo so, lo ignoro completamente. Ma so perché io, nella maggior parte dei casi, preferisco la solitudine. È un motivo un po' strano, come me. Ma, d'altronde, chi non è strano? E dunque, spesso evito di relazionarmi con gli altri semplicemente perché non mi va di fingere. Mi spiego. Sono una persona espansiva, pronta ad aiutare gli altri, sempre disponibile. Ma ci sono giorni in cui voglio proprio stare solo. Se mi catapultassero su un'isola deserta, priva di ogni traccia umana e persino animale, io in quei giorni starei da dio. Sì, perché altrimenti mi ritroverei a essere chi non sono. A mostrarmi interessato a conversazioni che non mi fanno né caldo né freddo. A dire la mia. Che poi, la mia opinione nemmeno conta. O, meglio, non la fanno contare. Vi è mai capitato di trovarvi a discutere con qualcuno che vi chiede di intervenire, di dare la vostra opinione in merito a un argomento, ma poi, appena tu la dici, loro scuotono la testa e dicono 'no, non è così'? A me succede, molte volte. E inizio a pensare che allora la mia opinione sia sbagliata. Ma poi mi chiedo 'chi sa cosa è giusto e cosa è sbagliato, scusa?'. Allora mando a quel paese ogni cosa e insisto. Ma insiste pure l'altra persona, con la testa che fa 'no', quasi disgustata, e una frase pronta a ribattere. Allora sai che c'è? Io lo accetto volentieri il biglietto per quell'isola deserta. E, se è qualcosa, ci vediamo mai.

domenica 6 gennaio 2019

Del Natale e del suo Babbo

"E che fine facevano il latte e i biscotti che lasciavo per la Befana?". "Il latte lo buttavo, perché dopo una notte fuori dal frigo faceva brutto, e i biscotti li rimettevo nella confezione". Così mia mamma distruggeva il mito della Befana e, prima ancora, quello di Babbo Natale, suscitando le risate di amici di famiglia con cui passavamo la serata. Avevo sei anni e mi portavo dietro la tipica innocenza di quell'età, in un misto di fantasia e ammirazione per quelle due figure mitologiche. Ricordo di esser rimasto male, molto male, ma non tanto da piangere o rinunciare alla fiaba dell'uomo grasso che scende dai camini per lasciare i regali o della vecchia col naso aquilino che dona dolci ai bimbi buoni e cenere e carbone a quelli cattivi. No. Col tempo ho trasformato questi due signori in qualcosa di più grande, nel vero Spirito Natalizio. E, mentre le generazioni si susseguivano, è toccato al sottoscritto interpretare Babbo Natale per i cuginetti, che rimanevano affascinati da questo grande uomo di rosso vestito, che suonava al campanello e si trascinava dietro un sacco pieno di regali. I sorrisi sui loro volti, il regalo di Natale più dolce che potessi mai ricevere, erano grandi tanto quanto i nostri, quando uno zio, un cugino più grande, persino i nostri genitori, ci divertivano con quel travestimento. Ed ecco che il Natale ha assunto un aspetto completamente diverso negli anni. Se prima era desiderio di ricevere questo o quel regalo, adesso è semplice desiderio di trovare pace, serenità e passare questi giorni di festa con la mia famiglia, tanto grande e incasinata quanto amabile e amata. Le festività natalizie sono giunte al termine e proprio oggi l'Epifania se le porta via. Un sapore dolce amaro le ha accompagnate, quest'anno, ma fortunatamente ho avuto la possibilità di comprendere il vero significato del Natale e del suo dolce e paffuto Babbo, che è staccare dalla routine quotidiana, sognare senza limiti e, ovviamente, mangiare all'infinito.

sabato 5 gennaio 2019

Hiatus

Hiatus. Da qualche giorno mi risuona nella mente questa parola. Hiatus. Pausa. Stop. Così l'ho fatto. Mi sono fermato. Ho preso una pausa da ciò che mi stava logorando e non so quando terminerà. Se tra un giorno, un mese o un anno. Probabilmente la settimana prossima tornerò ad essere l'Oz di sempre, non lo so. Certo è che son tornato a respirare. Ecco, allora, a cosa serve lo hiatus: a ricordarsi di esistere.