giovedì 16 aprile 2020

Luis Sepúlveda: dell'immortalità di un autore

Apprendo con grande dispiacere della morte di Luis Sepúlveda, autore di favole che hanno affascinato, incantato e divertito tantissime generazioni di piccoli e grandi lettori. Potrei perdermi in un elogio dei suoi scritti, ma la sua triste dipartita mi fa solo pensare al concetto di immortalità. In questi mesi stiamo assistendo a qualcosa di catastrofico, che si accompagna a tragedie che ogni giorno colpiscono il nostro Pianeta e l'umanità intera. Familiari, amici, personaggi illustri ci lasciano, scomparendo fisicamente dalla Terra che i nostri piedi calpestano quotidianamente. Eppure, ognuno di noi lascia un'impronta, un segno destinato ad essere duraturo nel tempo, sopratutto se compiuto con amore, cuore e cervello. Ripenso a quel piccolo Oz, che si emozionò leggendo "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" e la pelle d'oca suscitata dal lungometraggio animato di qualche anno fa. Ecco, allora, che l'immortalità di un autore come Sepúlveda si fa viva e concreta, così come vivi e concreti sono i messaggi dei suoi racconti, messaggi di speranza, bontà, altruismo. Comportamenti che sicuramente hanno il grande potere di cambiare, in positivo, il nostro modo di essere. Oggi Luis ci ha lasciati, ma le sue favole resteranno per sempre. 

martedì 14 aprile 2020

Basilicò, di Giulio Macaione

Di Giulio ho divorato 'Una mattina qualunque' in dieci minuti, una storia autoprodotta, con lo stesso protagonista de "La fine dell'estate" e quei disegni che hanno il potere di evocare una tempesta. Poco fa ho terminato, invece, "Basilicò", uscito nel 2016 per la meravigliosa (non mi stancherò mai di dirlo) Bao Publishing. Sono arrivato tardi, sì, un po' per pigrizia, un po' perché non sempre è facile trovare le graphic novels italiane in libreria. Eppure, meglio tardi che mai. In questo volume Giulio ci racconta di una famiglia siciliana, madre, padre fuggito con l'amante e cinque figli, uno più disagiato dell'altro. La storia inizia con il funerale della donna, pretesto per raccontare la sua storia e un segreto che ha tenuto nascosto per anni, un'ombra che aleggia sulla famiglia e condiziona la vita dei suoi componenti. Protagonista vero e proprio della storia è il basilico, punto forte della cucina di Maria. Tecnicamente, "Basilicò" può apparire grottesco, ma l'abilità della matita di Giulio rende il tutto cinematografico, evocativo, tra presente e passato che si condizionano vicendevolmente. Giulio ha la sempiterna capacità di porre attenzione sul più minuscolo dettaglio, che non distoglie l'attenzione, ma anzi contribuisce all'incantesimo che, inevitabilmente, colpisce il lettore. 

domenica 12 aprile 2020

Torneremo a splendere

«Corri in giardino! Sbrigati!», urla mia madre dalla cucina. Infilo le pantofole, apro la porta. Le voci dei vicini mi assalgono. Sono l'unico ad indossare ancora il pigiama, mentre c'è chi porta una camicia a righe, chi una tuta. La maggior parte di loro ha un bicchiere in mano. Acqua, tonica, vino, spritz. Hanno improvvisato un brindisi pasquale a distanza, perché diversamente non si può. «Beh, allora, auguri!», urliamo in coro. Ci si scambia qualche aneddoto sul pranzo, mentre da alcune abitazioni l'odore di cibo non fa che accrescere l'acquolina in bocca. Rientro in casa e vedo che il cellulare segnala una notifica. È una nota audio di mio cugino, sei anni di pura dolcezza. Ci manda gli auguri, terminando con un bacio. La chat degli amici di una vita conta più di cinquanta messaggi, tra foto di carne arrostita sul fuoco, immagini divertenti, il solito video scherzoso, battute e auguri sinceri. Il cellulare di mia madre squilla. Siamo tutti in videochiamata. I nonni, già a tavola, chiedono cosa stiamo cucinando. Gli zii ci mostrano la specialità del giorno. I cugini ci raccontano di aver modificato, ma di poco, la ricetta del tiramisù. Probabilmente, in un momento diverso, mi sarei opposto. Il tiramisù è quello, non si cambia. Ma oggi no. Oggi va bene così, con il sole più forte che abbia mai visto. Un sole che, caldo e accogliente, ci regala un abbraccio e ci promette che, quando tutto sarà finito, lui sarà ancora lì, ad attenderci. Forse è proprio questo il significato della Pasqua, indipendentemente dal credo religioso di ognuno di noi. In fin dei conti, come ciclicamente il sole torna alto nel cielo, anche noi, presto, molto presto, torneremo a splendere. E sarà meraviglioso. 

sabato 11 aprile 2020

Harry Potter e La Maledizione dell'Erede: l'inspiegabile insuccesso

Uno dei compiti più difficili per un Potterhead è recensire La Maledizione dell'Erede. Anzi, precisiamo una cosa: la cosa più difficile è leggerlo. Ma procediamo con calma. 

È il 2014. J. K. Rowling incontra John Tiffany e Jack Thorne. I tre si siedono a tavolino, parlano, si ascoltano. Nascono i primi tratti di una storia, che nel 2016 approda al Palace Theatre di Londra. Il successo è immediato. Il pubblico applaude il cast, le scenografie, gli effetti speciali che hanno l'arduo compito di rappresentare gli incantesimi lanciati dai protagonisti. Il pubblico applaude la storia. Qualche tempo dopo, ecco che lo script ufficiale dello spettacolo teatrale viene pubblicato. Le copie vendute sono molte (850.000 solo nella prima settimana), ma i lettori più affezionati iniziano a pubblicare recensioni negative. Causa: la trama.

Se i volumi di Harry Potter ci hanno abituati a una trama contorta, con il passato e il futuro che si intrecciano a creare un vortice di avventure spesso mortali, La Maledizione dell'Erede si basa solo sull'alterco tra Harry e il suo secondogenito, Albus Severus. Il ragazzo, infatti, non vive bene all'ombra del famoso Harry Potter, mentre il padre, in un impeto di rabbia, confessa che non vorrebbe averlo come figlio. Il resto è solo una conseguenza delle azioni di Albus, il quale stringe amicizia col figlio di Draco Malfoy, Scorpius, su cui aleggia una leggenda bizzarra: è il figlio di Voldemort. Niente di più falso, insomma. I due ragazzi, la cui amicizia a prima vista ricorda quella di Harry e Ron, decidono di intraprendere una missione: riportare in vita Cedric Diggory, ucciso da Voldemort, e quindi la felicità nella vita del padre, Amos Diggory, la cui richiesta di usare la Giratempo è stata rifiutata dallo stesso Harry, in quanto quei meravigliosi e pericolosi aggeggi sono stati completamente distrutti. Ma Albus conosce la verità: esiste ancora una Giratempo, confiscata a un certo Theodore Nott, prontamente rinchiuso in gattabuglia. Aiutati dalla nipote di Amos, Delphi, i due ragazzi rubano la Giratempo dall'ufficio di Hermione, ora Ministro della Magia, e iniziano un viaggio nel tempo che altera totalmente gli eventi. Per questo, Albus, che è un Serpeverde, si ritrova in Grifondoro. Poi, in un'altra realtà alterata, Voldemort ha vinto, Harry è stato ucciso e l'intero mondo magico vive nel terrore. Aiutato da ciò che resta dell'antico Esercito di Silente, Scorpius riesce a recuperare Albus. Ritornati alla realtà, decidono di distruggere la Giratempo, ma vengono presi in ostaggio da Delphi, la quale confessa il suo vero piano: riportare in vita Lord Voldemort. I tre viaggiano nel tempo, precisamente alla terza prova del Torneo Tremaghi, ma Delphi distrugge la Giratempo, bloccando i due ragazzi nel passato. Nel presente, invece, Harry, Ginny, Ron, Hermione e Draco vengono a sapere di una profezia che inneggia al ritorno del Signore Oscuro e della vera identità d Delphi: è la figlia segreta di Voldemort e Bellatrix Lestrange. Albus e Scorpius, intanto, scoprono di essere al 30 ottobre 1981, il giorno precedente all'assassinio di James e Lily Potter. Comprendendo che lo scopo di Delphi è uccidere di suo pugno il piccolo Harry, Albus trova un modo per comunicare all'Harry del presente la loro posizione temporale e spaziale. Utilizzando, quindi, la Giratempo dei Malfoy, i nostri piombano a Godric's Hollow, dove Ginny si rende conto che l'intento di Delphi è prevenire l'attacco ai Potter, così da rendere più duraturo il potere di Voldemort. Trasfigurando Harry con le sembianze del Signore Oscuro, i maghi riescono a bloccare la ragazza, mentre Voldemort uccide i Potter. Assistendo alla scena, Harry vede Hagrid prendere il piccolo sé stesso e dare avvio alla storia leggendaria di colui-che-è-sopravvissuto. Tornati al presente, Delphi viene arrestata, mentre il rapporto tra Albus e Harry pare prendere la giusta direzione. La storia si chiude con padre e figlio che fanno visita alla tomba di Cedric, dove Harry si reca per scusarsi della sua morte.

È facile capire che la trama è tutto un fuggi-fuggi di spazio e tempo, di alterazioni degli eventi, di liti tra figli adolescenziali e padri che non sanno chi prendere come riferimento. A prima vista, quindi, sembra anche interessante la storia. Ma non funziona, e i motivi sono tanti. 

> Adattare una storia complessa come quella dell'universo di Harry Potter a opera teatrale è un'opera ardua. Chi ha avuto la fortuna di assistere allo spettacolo, confessa di essersi emozionato e aver apprezzato profondamente la rappresentazione. Ci sta. D'altronde, i video ufficiali che nel corso degli ultimi quattro anni sono stati pubblicati mostrano uno spettacolo innovativo, ricco di suspense ed effetti speciali. Chi, come il sottoscritto, si è accontentato del testo, non ha avuto la possibilità di apprezzare i personaggi, di delineare il loro spessore psicologico. Nonostante l'innegabile bravura degli autori, infatti, questo testo non è in grado di farceli conoscere e riscoprire. Probabilmente siamo troppo abituati alla magistrale capacità della Rowling di creare la psiche anche del più piccolo personaggio dei suoi romanzi. E probabilmente il testo teatrale, privo delle più minuziose cure, è intriso di una grandissima banalità da far apparire banali persino i personaggi. Certo, Hermione resta sempre la stessa, così come Minerva McGranitt, mentre, e questo è uno dei pochi punti a favore, Harry viene presentato sì come colui che ha eliminato la più grande minaccia al mondo magico, ma anche come quell'uomo semplice che non ha figure cui ispirarsi e che non sa come si debba comportare un padre.

> Il punto più critico in assoluto è la trama. Ebbene, questa non è banale, anzi. Se vogliamo, è anche interessante. Il problema è insito in tutti gli errori della stessa. Insomma, Voldemort e Bellatrix Lestrange hanno avuto una figlia prima della battaglia di Hogwarts? È da un po' che mi chiedo come sia possibile partorire un'idea del genere. Gli autori hanno, forse, fatto una maratona di Beautiful per cercare l'ispirazione? Essendo obbligatorio il paragone con la saga della Rowling, ogni minimo elemento della storia ha un senso estremamente importante. Scrivere una trama del genere, piena com'è di punti privi di senso, non fa altro che rendere la storia stessa una semplice fan fiction redatta da chi non ha un briciolo di conoscenza della meravigliosa ed eterna storia di Harry Potter.

> Tra tutti i nuovi personaggi, quello che spicca sin da subito è Delphi. Non perché abbia qualcosa di interessante, ma perché è surreale, mal delineato, inutile, assurdo. Colei che riveste il ruolo di villain della storia appare come una bambocciona priva dei classici tratti del cattivo. Un pagliaccio, diciamo così. Persino Grindelwald, che stiamo imparando a conoscere coi film de Gli Animali Fantastici e che fondamentalmente non ha mai rivestito un ruolo cruciale nei romanzi di Harry Potter, ha una psiche, ha fascino, ha un leitmotiv che spinge le sue azioni. Per non parlare, poi, di alcune sfumature dei personaggi amati dai lettori. In primis, Silente. Personalmente, pur amando il Silente più debole che viene spesso messo in risalto nei romanzi, la scena dello spettacolo in cui il suo ritratto in lacrime parla con Harry mi è sembrata grottesca. Albus Silente è uno dei personaggi più affascinanti della letteratura fantasy, tant'è che ancora oggi si cerca di capirne il più possibile. Eppure, quella scena non lo rende più umano, non aggiunge nulla al grande mago che abbiamo imparato a conoscere e amare. Anzi, semmai toglie. Lo sminuisce, ridicolizzando il suo stesso ricordo.

> Perché Rose, figlia di Ron e Hermione, non ha alcun ruolo all'interno della storia, se non quello di apparire come una ragazzina spocchioso che fa la dura di fronte a Scorpius? È chiaro l'intento degli autori: ricreare il trio perfetto, accomunando tre famiglie di derivazione sociale diversa, con storie completamente diverse. Eppure Rose viene introdotta e abbandonata, non ha alcuna utilità ai fini della narrazione. Tuttavia, bisogna ammettere che questo episodio non è l'inizio di una nuova saga, ma è una storia fine a sé stessa, senza futuro, ragion per cui vengono a mancare tanto la possibilità quanto la necessità di dare spazio a personaggi che esulano dalla trama principale.

Infine, riferendomi alla versione italiana dello script, ho notato che i nomi utilizzati dal traduttore sono quelli della seconda versione. Come molti sanno, la prima versione di Harry Potter ha una traduzione diversa rispetto alla seconda, tanto da far diventare introvabili o addirittura tremendamente costosi i volumi stessi. L'uscita degli ultimi episodi ha reso necessario un cambiamento quasi totale, in quanto i nomi originali inglesi ricalcano le caratteristiche degli stessi personaggi, caratteristiche che nascono a loro volta dal ruolo che essi ricoprono all'interno della storia. Questo riadattamento si ripercuote anche sulla versione italiana de La Maledizione dell'Erede: ecco quindi che ritroviamo Minerva McGonagall e Neville Longbottom, in luogo di Minerva McGranitt e Neville Paciock. Ciò che, però, risulta totalmente inaccettabile, sia per la nuova traduzione dei romanzi che per la versione italiana dello script, è Tassofrasso. Ok, il rosso di Tassorosso non è presente nello stemma della Casa, ma Tassofrasso ha un suono orribile. Così come orribile è il trattamento di Corvonero, che tra l'altro non presenta il nero nello stemma, ma bronzo e blu! Sarebbe interessante fare due chiacchiere coi traduttori e cercare di comprendere la loro posizione. 

In conclusione, i più troveranno interessante La Maledizione dell'Erede, ma per molti - e siamo in tanti - non sarà così. La dicitura che l'edizione italiana reca sul retro, "L'ottava storia. Diciannove anni dopo", è una boiata pazzesca, col sospetto - e lo dico a malincuore - che la sua creazione sia stata partorita da un unico desiderio: speculare su una saga immortale, eterna, che ci ha insegnato l'amicizia, la lealtà, l'onore e il coraggio, e che ha portato la magia nelle nostre vite e nei nostri cuori. 


La primavera torna sempre

Conoscevo Lorenzo Marone per la sua fama, i suoi titoli ad effetto, le pubblicità. Ma non avevo mai letto niente di suo, fino ad oggi. Lorenzo ci regala un racconto inedito, con protagonista Luce, personaggio principale del suo 'Magari domani resto'. Ci regala un racconto intriso di speranza, di filosofia popolare, che a volte è la più acuta di tutte, perché basata sulla vita reale, sulla vita di tutti i giorni, quella che oggi è costretta nelle mura delle nostre abitazioni, dove un orologio appeso alle pareti scandisce un tempo che fatica a passare. Ma, proprio come dice il suo vicino di casa, il buon vecchio saggio don Vittorio, questo lento susseguirsi di minuti e ore può, in fin dei conti, servire a riscoprire un valore che da tempo si è perso. “Sono convinto che tutto questo che sta accadendo sia un modo per mostrarci la strada da prendere domani: la gentilezza”. Chissà, magari dopo questa tempesta ci sarà un sole bellissimo. D'altronde, "la primavera torna sempre". 

venerdì 10 aprile 2020

Il fascino di John Doe

2002-2012: è il decennio che ha visto la pubblicazione di John Doe, serie a fumetti ideata da Roberto Recchioni e Lorenzo Bartoli ed edita dall'Eura Editoriale. Oggi è la Bao Publishing a pubblicare gli albi, accrescendo la sua collezione di un pezzo estremamente importante. Leggendo il primo numero, infatti, si percepisce tutta la bellezza di John Doe, che, nel gergo legale, è il nome di un cadavere o di un imputato sconosciuti. Con la storia di Recchioni e Bartoli, però, John Doe diventa un essere fisicamente presente, affascinante, abile, amatore. Un uomo che lavora per la Trapassati Inc., società che ha lo scopo di controllare il decesso di ogni essere umano e che vede al suo vertice proprio lei, Morte, accompagnata dai fedeli collaboratori Guerra, Pestilenza e Fame, con cui costituisce l'esercito dei Cavaleri dell'Apocalisse. A completare il quadro troviamo Simmons, contabile dell'azienda; Tempo, essenza stessa della linea temporale e spaziale; Chase, che si occupa degli incidenti automobilistici; donne dall'aspetto casalingo, responsabili degli incidenti domestici. Infine, le Alte Sfere, cui Morte e i suoi devono dare conto, e Fato. Entità sovrannaturali, extraterrestri, che gli autori hanno ben deciso di rappresentare come esseri umani a tutti gli effetti, forse per rimarcare la vicinanza dell'uomo a concetti come morte, fato e sofferenza. Ma tra tutti, la storia si concentra proprio su John, braccio destro di Morte e dirigente d'azienda, che, scoperto un giro losco dei quattro, decide di rubare la Falce dell'Olocausto e fuggire. I Cavalieri partono allora al suo inseguimento, in un viaggio rocambolesco tra passato e presente, congetture e schemi militari.
John Doe non è solo una storia fantastica. È innanzitutto un'opera pop, per via dei numerosi riferimenti allo spettacolo: giusto per fare qualche esempio, in un episodio vediamo Marylin Monroe e Naomi Campbell, mentre lo stesso John ha le fattezze di Tom Cruise e Pestilenza quelle del padre di Happy Days. È un'opera pop per via anche del protagonista principale: John non è il classico belloccio sciupafemmine che agita il pugnale o spara un colpo e via. John è innanzitutto umano: pur lavorando per entità al di fuori della comprensione umana, egli ne conserva tutte le caratteristiche. Lavora, lotta, ma soprattutto ama. Ha tante amanti, John Doe, ma il suo cuore appartiene solo alla bellissima Tempo, con cui il rapporto, però, si deteriora, a tal punto da compromettere la corretta successione spaziale e temporale degli eventi. E proprio questa sua umanità, riconducibile alla mortalità di ognuno di noi, riuscirà a salvarlo, permettendogli di trovare i punti deboli dei suoi nemici e distruggerli, seppur non definitivamente. Viene da pensare che probabilmente la storia di John sia solo un pretesto, da parte degli autori, di analizzare, seppur in parte, l'essenza dell'essere umano. Ed è proprio questo che lo rende straordinariamente peculiare.