domenica 26 gennaio 2020
Le Sette Morti Di Evelyn Hardcastle
Il thriller è, sin da sempre, uno dei generi letterari più affascinanti. Basti pensare alle avventure di Poirot e Miss Marple, nati dalla penna di Agatha Christie, o di Sherlock Holmes, il grande investigatore creato da Sir Arthur Conan Doyle. Poliziotti, persone comuni, che utilizzano ingegno e deduzione per risolvere i casi più disparati. In questo contesto si inserisce l'autore in questione, che deve possedere l'abilità di costruire una storia affascinante, ricca di dettagli, e di far insinuare nel lettore l'idea che sì, il colpevole è lui, ma tu lettore hai sbagliato pista. Nulla è ciò che sembra. Questa è la frase che mi ripeto da quando, qualche ora fa, ho chiuso "Le Sette Morti Di Evelyn Hardcastle", esordio di Stuart Turton. Ambientato nell'Inghilterra degli anni venti, il romanzo ci catapulta sin dalla prima riga in un mondo distorto, fatto di vuoti di memoria, omicidi, inseguimenti, punizioni. Elementi che sono ormai tipici del giallo. L'abilità che mi sento di riconoscere a Turton risiede nell'aver esplorato una dimensione ad oggi raramente contemplata nei romanzi thriller: i salti temporali. Il protagonista della storia, Aiden Bishop, si ritrova a vivere in otto corpi diversi, osservando e agendo da diversi punti di vista, grazie ai quali può raccogliere i tasselli di un contorto puzzle e ricucire la storia, risolvendo il caso. Già questo ci permette di capire che il romanzo non è di facile comprensione, anzi. I lettori più critici riconoscono una gran difficoltà nella sua lettura e io stesso, pur essendo appassionato di storie intricate, non ho per poco ceduto all'abbandonare la lettura dopo le prime dieci pagine. Tuttavia, ho voluto dare a Turton una chance e, onestamente, non me ne pento. La narrazione in prima persona e al presente si accompagna a personaggi dalla complessa psicologia, in grado di suscitare simpatia e antipatia. Personaggi ambigui, famelici, che con le loro parole e azioni ribaltano la situazione, allontanando il protagonista, e il lettore stesso, dalla soluzione del caso. Uno degli aspetti più affascinanti, comprensibile all'incirca a metà storia, è la costante presenza di Blackheath, dimora degli Hardcastle, ormai in rovina, ma maestosa e paurosa. Si scoprirà, poi, che la villa altro non è che una prigione, dove il mistero della morte della giovane Hardcastle deve essere risolto solo da uno dei giocatori in ballo, per ottenere in cambio la libertà. Sembra palese, quindi, il richiamo alla celebre Hill House dell'omonimo romanzo di Shirley Jackson: i protagonisti sono gli scacchi (figura ricorrente nel romanzo di Turton), mentre l'abitazione è, allo stesso tempo, scacchiera e giocatore, capace di manipolare le loro menti, le loro azioni, di ribaltare il risultato. Una villa, quella di Blackheath, che gode di vita propria, risultando la vera protagonista della storia, quasi come l'imponente cattedrale di Notre Dame, che fa da sfondo alla storia di Quasimodo ed Esmeralda. Altra, a mio avviso, fortissima componente del romanzo di Turton è la presenza di donne e uomini vestiti da Medici della peste, figure inquietanti che dettano le regole del gioco, con le quali i protagonisti devono confrontarsi, per consegnare poi la risposta corretta e ricevere il premio finale. Ma il Medico della peste, che verso la fine suscita addirittura la simpatia, o compassione?, del lettore, è solo una figura allegorica della coscienza: una voce che risiede dentro di noi, ma che spesso non siamo in grado di ascoltare. Tant'è che il protagonista, Aiden Bishop, grazie al suo aiuto, arriva a comprendere il vero significato di questa avventura così sanguinolenta: non è Blackheath la prigione, ma la nostra mente. E, riflettendoci, trovo ammirevole il significato ultimo del romanzo: l'essere umano, creatura affascinante quando difficile, rimane spesso accecato dall'odio, dalla sete di vendetta, arrivando a non discernere più la differenza tra vero e falso, tra realtà e immaginazione. Ecco allora che il Medico della peste rappresenta la voce interiore, sepolta in quel guazzabuglio di emozioni che tentano di divorarci. Ecco che il lacchè, assetato di sangue, rappresenta il nostro lato più oscuro, quello che cede al male, quello che perde la retta via. È necessario, sembra suggerirci Turton, lasciarci andare per recuperare la giusta direzione. Come Dante affronta un viaggio all'inferno in una dimensione extra-corporea, Aiden Bishop subisce l'alienazione da sé, diventa altro. Egli osserva il mondo con occhi, mente e cuore diversi, dando un giudizio cui mai sarebbe arrivato con gli ingranaggi della sua, di mente. Ed è questo il vero punto forte de 'Le Sette Morti Di Evelyn Hardcastle': il viaggio del protagonista diventa analisi della natura umana.
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